Il Cioccolato in Svizzera e Italia: Industria, Mercato, Società
Milano, 9-10 febbraio 2006

Il Convegno storico Italo-Svizzero a cura dell’Università degli Studi di Milano e dal Centro Interdipartimentale di Storia della Svizzera “Bruno Chiazzi” ha preso in considerazione un tema “goloso”- come ha sottolineato il Prof.Jean-François Bergier del Politecnico Federale di Zurigo- quale il cioccolato perché questo ha avuto ed ha un grande ruolo della storia dell’economia svizzera. Indicatore per secoli di un certo stato sociale, oggi è divenuto un prodotto di largo consumo. Tramite l’analisi della storia del cioccolato si può disegnare la storia del costume, dell’economia e dell’industria sottolineando una grande simbiosi tra la Svizzera e l’Italia. Molto interessante l’intervento del Prof.Giuseppe Bracco dell’Università di Torino con la sua relazione su “Il cioccolato nella città di Gianduia”. Dai suoi studi, infatti, riporta l’interessante testimonianza scritta della presenza del cioccolato in Piemonte già dal 1559. Sembra infatti che proprio nei conti che si riferiscono agli acquisti della Casa Reale compaia la voce “cacao” insieme a quella dello zucchero, della vaniglia e della cannella e delle tazze per la cioccolata oltre che degli strumenti per prepararla. A proposito, da queste spese si evidenzia che la cannella era la spezia preferita anche alla vaniglia e così si può dedurre che i nobili preferissero una cioccolata calda con questo aroma! C’era ai tempi un particolare settore della reggia che comprendeva la frutteria, la pasticceria e la confetteria. Per tutto il 1600 e il 1700 lo staff era costituito da tre capi, quattro aiutanti e tre garzoni che, quando era il momento, mettevano in atto “l’ufficio del cioccolato”. Per quanto riguarda il cioccolato solido sembra che durante il 1700 si fossero fatti dei tentativi di farlo a corte, ma poi si finì per acquistarlo dai cioccolatieri che anzi, chiesero di diventare ed essere fregiati del titolo di fornitori della Real Casa e di poter esporre le armi regie come Carlo Ema, di Bellinzona, che aveva la sua bottega in Via Santa Teresa, a Torino. (1781) Ecco che qui vediamo subito i legami con la vicina Svizzera che divennero sempre più stretti via via nel tempo. Che la famiglia Ema fosse venuta a Torino per insegnare ad altri la lavorazione del cioccolato o che invece sia stata allieva di qualche cioccolatiere piemontese non ci è dato saperlo, ma visto che la tradizione svizzera è più che altro legata alla pasticceria, forse si può davvero sostenere un primato iniziale dell’Italia in questo “dolce affare”! Alla fine del ‘700 i conti ci dicono che i Savoia acquistavano quattro quintali di cioccolato all’anno. In realtà non era solo per puro consumo interno poiché era usanza mandarlo a Lione e a Parigi in regalo ad altri nobili o ai diplomatici oppure per darne grandi quantità ai Principi Sabaudi in missioni all’estero per garantire loro la continuazione delle loro abitudini alimentari. È anche registrata tra le spese la carta oleata che serviva per incartare il cioccolato che così si conservava meglio. In Piemonte il consumo del cioccolato sembra che non fosse solo appannaggio di una sola classe privilegiata già a partire dalla seconda metà del 1600 poiché è del 1650 l’inaugurazione del Caffè Civico sotto i portici del palazzo omonimo: qui si ritrovavano universitari, tipografi e molta altra gente comune ed al Prof. Bracco piace immaginare che persone come lui potessero già a quel tempo deliziarsi con una bella tazza di cioccolata calda. Per quanto riguarda il 1700 non c’è un elenco di cioccolatieri che operassero in Piemonte, ma ai primi dell’800, con la Restaurazione Sabauda troviamo la Statistica delle Arti Manifatturiere (1822) dove vediamo che vi erano ben 19 fabbricanti con 32 lavoranti che producevano 34.000 libbre di cioccolato alla vaniglia e 18.000 alla cannella, ma questa produzione è sottostimata poiché dai Registri delle Dogane i dati parlano di 1200 quintali di cacao grezzo già nel 1819 che arrivano a 24000 dopo il 1929. Il cacao giungeva via mare sia da Nizza, che era il vecchio porto sabaudo, sia da Genova dopo il 1830. I rapporti tra Stato Sabaudo e Svizzera sono stati sempre strettissimi e tanti gli immigrati dalle varie vallate come quella dei Grigioni o di Blenio. All’inizio il cacao che poi raggiungeva la Svizzera passava sempre dai due porti sopraccitati così come quello destinato alla Toscana. Solo in un secondo tempo si aggiunse Livorno. Interessante sapere anche che le scorze del cacao non erano utilizzate in Piemonte: andavano in Lombardia e in Svizzera. La relazione della Prof.sa Elisabetta Tonizzi dell’Università di Genova ha, poi, posto l’accento sulla storia del cioccolato a Genova, un campo, però, che sembra essere stato ignorato dalla Storiografia. Poche così le notizie sia sul consumo, sia sui produttori di cioccolato. Si sa solo di piccolissime realtà artigianali ed anche di una produzione decisamente ridotta fatta eccezione per i Romanengo. Anche in questo caso si sono consultati come fonti i libri contabili delle varie casate nobiliari che ci dicono che dalla seconda metà del ‘700 la cioccolata calda era in voga non solo presso la nobiltà genovese, ma anche presso persone di rango meno elevato. I nobili la consumavano preferibilmente in due momenti ben distinti: al risveglio e nelle riunioni salottiere serali utlizzando tazze e piattini concavi appositi oltre a lussuose cioccolatiere d’argento. È del 1708 una legge che vietava la vendita delle bevande come genere di ristoro per i passanti ad eccezione della cioccolata il che sta a dimostrare come questa fosse appannaggio anche della gente comune. Sembra che nella zona di Prè ci fosse un Vico del Cioccolatte vicino al Vico dello Zucchero, dove c’erano molti produttori, ma di questi si è persa traccia poiché mai si parla dell’arte del cioccolato. Le uniche notizie riguardano, come ho detto prima, la Ditta Pietro Romanengo fu Stefano che nel 1780 importava generi coloniali. Nel 1800 apre una fabbrica di canditi secondo la grande tradizione genovese, poi di confetteria, importando il know how dalla Francia, ed infine il reparto di cioccolateria con l’acquisto d’importanti macchine per la sua lavorazione. Tra il 1831 ed il 1851 lavorano a Genova solo 10 cioccolatieri genovesi, ma sembra che nessuno fosse riuscito ad emergere per particolare abilità nonostante il prezzo del cacao fosse sicuramente più abbordabile che altrove dato che questo porto era uno dei principali snodi per l’arrivo della materia prima dai paesi produttori. L’unico Svizzero era Giacomo Brunetti nella seconda metà dell’800. Più famosi sono invece i pasticceri svizzeri che venivano dalla Valle dei Grigioni e che sono a Genova dopo il 1850: c’erano 12 negozi e tutti di loro proprietà. Una testimonianza nella tradizione dolciaria genovese è la Torta Engadina.

Marina Sanvito
(da appunti durante la Conferenza a Milano presso Il Centro Svizzero di via Palestro,2. Gli estratti delle lezioni saranno prossimamente raccolti in un volume. Ci scusiamo di eventuali imprecisioni.)