I Confetti sono la grande specialità di Pistoia che la rendono famosa in tutto il mondo per la loro particolarità. Sono infatti a riccio, bitorzoluti e non i soliti piatti o ultra piatti diffusi ovunque. Hanno un’anima di coriandolo perché così era all’origine anche se ora vengono fatti in molte varianti: alla mandorla, all’arachide, alla scorzetta d’arancio, alla nocciola viterbese ed alla fava di cacao. Si narra che nell’epoca medioevale ai pellegrini che arrivavano in città stremati dal lungo viaggio venisse dato loro in mano un pugno di zucchero e coriandolo che finiva ad assumere un aspetto strano, irregolare. Era un modo economico e veloce per rifocillarli e dar loro nuove energie. Provenivano, infatti, da tutta Europa per seguire la famosa Via Francigena che da Canterbury portava a Roma e si fermavano a Pistoia, con una digressione di circa venti chilometri per rendere omaggio alla reliquia di San Jacopo. Ma perché il coriandolo visto che questa spezia è di origine orientale? Si sa che era in uso fin dall’antichità in Italia come Coriandrum Sativum (una varietà botanica delle ombrellifere) e si dice che fosse coltivata persino nei famosi giardini pensili di Babilonia. I soldati e gli atleti erano soliti masticare i semi di coriandolo per non avvertire la fatica e si riteneva curasse persino la peste. Come sia giunta in Toscana e più precisamente a Pistoia non ci è dato saperlo, ma sta di fatto che qui la ritroviamo come ingrediente di molti piatti salati oltre che nei dolci: sostituisce l’anice, per esempio, nei cantucci. Con il coriandolo, rivestito di zucchero, si iniziarono a produrre i confetti a riccio o “birignoccoluti” e si chiamavano “Anici confetti”: la prima testimonianza documentata risale al 1372 poiché si dice che furono fatti in onore di San Jacopo, patrono della città. Ma c’è un’altra teoria più pratica e meno romantica sulla forma dei confetti. Dal momento che dai tempi dell’antica Roma durante le feste come il Carnevale si usava lanciare uova, noci ed altro in segno di allegria, più tardi, in tutte le occasioni di festa si cominciarono a lanciare i confetti con l’anima di coriandolo, ma se fossero stati lisci si sarebbero rotti cadendo sul selciato e non si sarebbe potuto poi mangiarli. I Pistoiesi decisero allora di farli bitorzoluti perché l’impatto fosse più morbido e meno devastante. A proposito di quest’usanza di lanciarli per le strade la moda continuò anche se ad un certo punto si decise di farli più economicamente in gesso con il coriandolo nel centro "le signore portan con sé dei panierini dorati o inargentati pieni di questi confetti", racconta il grande Goethe. Da Corsini, in Piazza San Francesco, si può assistere alle varie fasi di lavorazione del confetto tradizionale. Giorgia, la nipote del fondatore Cav.Umberto, usa ancora vecchie bassine di rame azionate da motori elettrici con trasmissione a cinghia in cui, lentamente, viene fatto cadere lo sciroppo di zucchero che va a ricoprire l’anima del confetto. Il procedimento è lunghissimo: per ottenere un prodotto soffice, leggero, ma con tanto zucchero ci vogliono più di otto ore di lavorazione e non deve essere presente l’amido che ne altererebbe il gusto e la morbidezza. C’è perfino un mega confetto chiamato “Palla di neve” che risale agli anni ’60. Nonno Corsini lo creò come oggetto promozionale su richiesta degli albergatori dell’Abetone. Oggi è diventato un porta fortuna per gli sposi cui vengono donati due confettoni che dovrebbero essere mangiati in “momenti di particolare intimità”. Marina Sanvito |